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La Rocca di Tancia

Due insediamenti fortificati, la Rocca di Tancia e di Fatucchio, i cui ruderi dominano ancora la via che collega Rieti con la valle del Tevere, sorsero sul Tancia all’inizio del X secolo, l’epoca dell’incastellamento, a cui risale la quasi totalità dei castelli della Sabina.
Dopo il crollo dell’impero carolingio con la conseguente frammentazione del potere, sorsero numerosi “castra” per iniziativa dei signorotti locali o dei monasteri, che ebbero la funzione di proteggere la popolazione atterrita dalle incursioni dei Saraceni, ma anche quella di organizzare nuovi centri di potere e di organizzazione agricola. E’ questo il fenomeno che lo storico Toubert chiama “incastellamento” e di cui la Sabina è il principale esempio. Con questo sistema i Signori si assicuravano i loro profitti feudatari, il potere e l’esercizio della giustizia. D’altro canto gli abitanti si sentivano protetti dalle scorrerie dei Saraceni o di altri possibili invasori. Ai sudditi riuniti nel “castrum” veniva offerta una certa quantità di terra da coltivare per il proprio sostentamento e per pagare le gabelle al feudatario.
Le fonti ricordano prima il Castello di Tancia, fondato tra il 967 e il 975; quindi il Castello di Fatucchio, che compare nei documenti dal 988. I due castelli rimasero nelle mani dell’Abbazia di Farfa fino al XIV secolo, quando passarono agli Orsini, e da questi cambiarono più volte proprietari, fino al 1609, anno in cui entrarono nei possedimenti del Comune di Monte San Giovanni.
La rocca di Tancia era abitata ancora nel XIV secolo, ma poco alla volta si spopolò, come il castello di Fatucchio, sia per la crisi che colpì alla fine del Medio Evo l’Appennino centrale, sia per l’abbandono delle colture dovuto al maggior interesse dei proprietari (gli Orsini) verso la pastorizia.

Il paesaggio dei monti Sabini nell’antichità era fortemente dominato da un fitto mantello di vegetazione. in età romana sui due versanti numerose sono le attestazioni di boschi sacri alla dea Vacuna, ma con l’arrivo dei longobardi, dopo la profonda depressione economica e la forte crisi demografica che colpì gran parte dell’Italia nel Vi secolo d.C., ebbe inizio la conquista di queste aree boscose con l’intento di ridurle a coltura. Le asce dei diboscatori aprirono ampi varchi, che le fonti medievali chiamavano macchie – oggi il termine ha assunto il significato opposto – ad indicare i vuoti compiuti tra la vegetazione dei boschi. Oltre a creare nuove terre da coltivare o ad ampliare i pascoli per il bestiame, il taglio degli alberi serviva anche ad ottenere una materia prima molto importante in quel periodo, il legno, che veniva utilizzato per vari scopi, ad esempio per la produzione di stoviglie, come materiale da costruzione, per fare carbone o come legna da ardere.
Una zona molto importante dunque che nel 781 divenne confine tra il ducato longobardo di Spoleto ed il ducato romano, quando i boschi appartenenti a Farfa venivano a contrapporsi a quelli della diocesi reatina. Con il crollo dell’impero carolingio e la conseguente frammentazione del potere centrale nacquero i castelli, insediamenti fortificati fondati per la gran parte tra X e XI secolo, che assolvevano a più scopi, da quello di razionalizzare i quartieri agrari a quello di garantire la sicurezza, da migliorare le condizioni economiche e sociali generali a quello di generare la nascita delle signorie rurali, nuovi centri di organizzazione del territorio.
Sul Tancia nacquero nel X secolo due insediamenti fortificati a cavaliere della strada di collegamento tra la valle del Tevere e la conca reatina. Il primo ad essere ricordato è il castello del Tancia, fondato tra il 967 ed il 975. Non molto tempo dopo, nel 988, compare nelle fonti anche il castello di Fatucchio.
Di questi due abitati restano oggi soltanto le rovine, dominate dalle torri semidiroccate, l’elemento principale e caratterizzante delle fortificazioni dei castelli sabini, che racchiudeva in sé simbolismi accentuati, rappresentando in modo tangibile il potere signorile ed il controllo dello spazio, spesso erroneamente identificate come torri longobarde.

I documenti farfensi di X ed XI secolo mostrano il forte dinamismo di questi insediamenti. Sono ricordate le chiese di S. Croce e di S. Vito, mulini ad acqua lungo il fosso di Tancia, vigneti intorno al castello di Fatucchio, numerose aree destinate alla semina dei cereali, testimonianze preziose di questo periodo per certi aspetti pionieristico, agevolato da condizioni climatiche non particolarmente sfavorevoli.
I due castelli rimasero saldamente in possesso di Farfa, anche se spesso l’abbazia ne cedette quote di cosignoria castrense, perdendone il controllo per alcuni periodi, tanto è vero che la rocca di Tancia venne in possesso del Camponeschi, che però alla metà del XII secolo ne cedettero nuovamente a Farfa il controllo, sottomettendosi di fatto alla potente abbazia benedettina.
Da allora il castello rimase solidamente in mano al monastero sabino, che, nel 1345, insieme al suo territorio, fu dato in locazione dall’amministratore apostolico di Farfa Arnaldo d’Albiac al nobile romano Ugolino di Pietro de Toldelgariis per un prezzo di 20 libbre di provisini del Senato, una moneta romana, e per un canone di affitto annuo di 5 fiorini d’oro. Nel contratto erano comprese anche la grotta di S. Michele, la chiesa di S. Angelo, compresi i dazi sui mercato che vi si svolgeva, la vicina chiesa di S. Silvestro, la chiesa di S. Vito e la chiesa di S. Caterina con la cappella di S. Salvatore, che erano all’interno del castello del Tancia.
Parallelamente alle chiese ed alle cappelle dipendenti da Farfa, anche il vescovo di Sabina aveva le sue chiese ricordate in una visita pastorale del 1343. La chiesa matrice era S. Ilario della rocca di Tancia, che aveva alle sue dipendenze le cappelle di S. Margherita de Castiglione, di S. Lorenzo de Butizano, la chiesa di S. Giovanni di Fatucchio, che era parrocchiale, la cappella rurale di S. Nicola, la chiesa di S. Angelo e la cappella di S. Caterina, queste ultime due forse le stesse che dipendevano da Farfa. Peraltro in quei tempi numerose ed astiose furono le controversie giurisdizionali tra l’abbazia di Farfa e la diocesi di Sabina ed è quindi possibile che ambedue le strutture religiose rivendicassero diritti sulle stesse chiese o cappelle.

Oggi la gran parte di questi edifici religiosi, in molti casi di modeste dimensioni e costruiti con materiali poveri grazie alla devozione popolare, è scomparsa, ma il fitto reticolo che nel medioevo essi disegnavano sui Monti Sabini fa comprendere come fosse molto più consistente il popolamento e numerosa la frequentazione di tutta questa area e molto più vivace l’economia ed il piccolo commercio, attivo in particolare lungo la via che congiungeva la valle del Tevere a Rieti, che trovava il suo polo nei pressi della chiesa di S. Angelo, dove si svolgeva un piccolo mercato settimanale, luogo di incontro e di interscambio tra i prodotti locali e quelli di importazione.
La rocca di Tancia era ancora abitata alla fine del XIV secolo, ma poco alla volta si spopolò, come il vicino castello di Fatucchio, non soltanto per la crisi più generale che colpì sulla fine del medioevo la gran parte degli insediamenti in quota dell’Appennino centrale, ma anche per un maggior interesse delle famiglie baronali romane, come gli Orsini, verso la pastorizia transumante, più remunerativa dell’utilizzo agricolo delle aree marginali, con una spinta quindi verso un abbandono delle colture, addensatesi intorno ai centri abitati più importanti e più popolati, ed una sempre crescente espansione dei pascoli.
Passati dall’abbazia di Farfa agli Orsini, i due castelli di Tancia e di Fatucchio cambiarono più volte di proprietario, dapprima per matrimoni, dagli Orsini passò ai Caetani, poi per vendite, dai Caccia ai Capizzucchi, che nel 1609 rivendettero la tenuta di Tancia al comune di Monte San Giovanni.
Abbandonati i castelli dagli abitanti, la via del Tancia non perse interesse, tutt’altro. Essa restò nel tempo una importante direttrice commerciale tra la conca reatina e la valle del Tevere, preferita anche dalle compagnie di ventura nella seconda metà del 1300 per le loro scorrerie, non a caso Rieti cercò di assicurarsene il controllo comprando i castelli di Poggio Catino e Catino nel 1478, per poi doverli rivendere Panno successivo per difficoltà finanziarie.

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